Fenomenologia dei Consorzi

In ambito di pianificazione e assetto del territorio a volte alcune definizioni – alcune parole – vengono travisate e vanno ad assumere nel tempo un significato molto diverso; e quel che è peggio – poiché le parole sono importanti – conferiscono una “etichetta” errata allo stesso territorio al quale si riferiscono.

E’ il caso dei Parchi Regionali vicini o dentro le città, e dei Consorzi di urbanizzazione.

Il Parco di Veio, del quale sono stato vicepresidente per 5 anni, comprende 15.000 ettari di territorio tra la Cassia e la Flaminia, e arriva dentro Roma fino a Corso Francia. E’ un’area protetta, per valenza ambientale e biodiversità, ma è una parte viva e attiva del territorio e non è certo un Parco pubblico. Purtroppo spesso ci si rapporta al Parco di Veio come se fosse Villa Borghese o Villa Pamphili, ovvero verde pubblico. Invece i grandi parchi regionali periurbani sono fatti di campagna privata, nella quale svolgere attività economiche compatibili con la tutela ambientale. In questo caso la parola “Parco” va ad assumere un significato diverso dalla verità, si creano equivoci e spesso anche conflitti.

Una cosa simile accade con i Consorzi di urbanizzazione, che molto spesso vengono messi sullo stesso piano dei Consorzi residenziali, mentre sono due categorie molto diverse e distanti, seppure entrambi servono a costruire la città. La quale città non si espande con le singole case, ma correttamente per comparti, quartieri, zone, o come si voglia chiamarle.

Se un gruppo di privati cittadini vuole costruirsi le abitazioni (in una zona prevista) compra il terreno e si consorzia insieme – ovvero si unisce – con questo scopo. Se la zona è destinata dal PRG a quartiere residenziale privato (per esempio come l’Olgiata) il gruppo di cittadini paga quello che deve al Comune per il valore delle costruzioni e per gli allacci, e si costruisce le infrastrutture obbligatorie per legge, infrastrutture che resteranno di proprietà privata e come tali saranno gestite. Il Consorzio (che in questo caso si chiamerà Consorzio residenziale) avrà un suo Regolamento, una sua tabella millesimale e resterà per sempre di proprietà privata, con costi di gestione e amministrazione (alti) conseguenti. E questo è un modo, da noi poco diffuso, di espandere la città.

Diverso è il caso dei Consorzi di urbanizzazione. In questo caso i suoli sono destinati dal PRG alla espansione urbana su infrastrutture (strade, lampioni, acquedotti, fognature) pubbliche. Cosa accade in questo caso? Accade che il gruppo di cittadini prima di costruire deve fare un contratto col Comune (chiamato Convenzione) nel quale ci sono un po’ di conti ovvero: caro Comune, costruiremo 100 case, per legge ti dovremmo dare 100 Euro, costruiremo 3 km di strada che valgono 30 Euro, 3 km di acquedotto che valgono 30 Euro, lampioni, marciapiedi, rete del gas e fognatura che valgono 40 Euro, il valore totale è 100, quando sono finiti ti cediamo tutto quanto e stiamo pari e patta.

Molto ma molto spesso (al centro – sud) si sono saltati dei passaggi di questo meccanismo, le convenzioni non sono state fatte e le infrastrutture non sono state cedute. I Sindaci di una volta, pressati dai cittadini, hanno lasciato fare, il Comune ha incassato qualcosa, sono passati decenni e molti Consorzi di urbanizzazione oggi credono di essere diventati Consorzi residenziali. Mentre sono “ab origine” degli organismi a tempo, destinati a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo statutario, ovvero la costruzione e cessione delle urbanizzazioni. Infatti non hanno tabelle millesimali per la gestione delle infrastrutture, ma solo quelle per la loro costruzione.

L’etichetta errata di cui si diceva all’inizio è fonte anche qui di equivoci: i Consorzi di urbanizzazione scambiati per Consorzi residenziali hanno inutili spese di gestione del nulla (visto che le infrastrutture sono obbligatoriamente del Comune) a causa di una etichetta sbagliata.

Qualche giovane Sindaco sta cercando di risolvere queste vicende (che nel Lazio sono centinaia) con i fondi che il PNRR ha stanziato. E’ una grande occasione. Ma ha ereditato dai predecessori non solo la complessità sedimentata nei decenni, ma anche e soprattutto la mancanza di chiarezza lessicale, l’etichetta sbagliata che qualcuno adotta – a volte in buona fede, a volte per demagogia – che complica ulteriormente le cose.  

Tagliare il superfluo

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11 marzo 2007

Non è una questione da ecologisti impegnati ma da economisti dilettanti. E’ semplice calcolare se vale di più un albero di 50 anni o un tratto di muretto di recinzione in blocchetti di tufo: l’albero vale circa 30 volte di più.

Eppure a Castelnuovo vige la regola seguente: gli alberi che danneggiano i muretti vanno abbattuti.
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A proposito del Piano Regolatore

Di seguito tre articoli scritti (per giornali locali) prima, durante e dopo l’adozione del Piano regolatore di Castelnuovo di Porto del 2003. Si intendeva fornire un modesto contributo e sollecitare la partecipazione alla formazione del Piano. Ma la Giunta Lucchese uso’ altri criteri, e tenne in piedi la promessa di un piano demagogico e irrealizzabile. Salvo poi – dopo 5 anni – cedere di schianto e decidere di ritirare il piano: come se non ci fosse mai stato. Insieme al Piano ovviamente salto’ una intera classe politica locale, e il tema pianificatorio non fu mai più affrontato. Oggi se ne riparla. A distanza di 15 anni l’analisi delle problematiche territoriali e’ ancora abbastanza attuale. 

CENTRO STORICO E TERRITORIO

MAGGIO 2003 – Primo articolo di approccio ad un nuovo Piano Regolatore

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Il Centro Storico non è un problema a sé stante, ma va inquadrato nella pianificazione generale del territorio comunale. Così come il centro storico ha cambiato utilizzazione e residenti a causa della evoluzione del territorio circostante, non si può pensare oggi di progettare il futuro dell’antico borgo senza pianificare le aree intorno e direi l’intero territorio comunale. Probabilmente non con una variante di un Piano Regolatore che ha quasi 30 anni – e che essendo variante lo dice la parola stessa mantiene ferme le impostazioni e cambia solo qualcosa – ma con un nuovo Piano regolatore generale adeguato all’ attuale assetto del territorio.
Qui a Castelnuovo oggi ci troviamo in una situazione che definirei “sull’orlo del crinale”. Possiamo fare scelte corrette, e in questo caso la nostra cittadina potrebbe evolversi positivamente e darci perlomeno la qualità di vita che ci dà ora e magari migliore. Possiamo non fare scelte o farle sbagliate e in breve saremo nei guai. Ma grossi.
Perché è presto detto. Ci sono sul tappeto cinque temi connessi tra loro, dai quali dipende il futuro del paese:

1. Casello autostradale. La apertura del casello sulla via Tiberina, là dove arriva la Montefiore, e il diretto collegamento con Monterotondo scalo, porterà molti vantaggi ma anche alcuni problemi da affrontare, che sono sostanzialmente l’aumento del traffico verso la Flaminia sulla Montefiore e il possibile arrivo in zona di criminalità più o meno organizzata.

2. Tribunale. Dato per scontato che il Tribunale è molto meglio averlo che non averlo, e che Castelnuovo non solo lo merita per storia e tradizione, ma deve fare di tutto per mantenerlo, la scelta compiuta di ospitarlo nella ex sede municipale, nella zona a maggiore densità abitativa, a 200 metri dal Centro Storico, servito da una unica strada obbligata per tutti, la Montefiore appunto, è un grave errore. Capisco i problemi economici di un piccolo comune come il nostro, capisco la difficoltà di trovare una alternativa, ma bisogna assolutamente portare il Tribunale vicino al nuovo casello autostradale, ove sarebbe collegato sia con la autostrada sia con la stazione ferroviaria di Monterotondo. Non dimentichiamoci che il Tribunale ha competenza territoriale sui paesi della Sabina, i cui cittadini devono oggi venire in macchina su per la Montefiore a Castelnuovo paese. La collocazione ideale del Tribunale è negli immobili della ex protezione civile, collegati direttamente al casello e dai quali potrebbe partire una navetta per la stazione di Monterotondo. Se questa soluzione fosse impraticabile – ma dopo avere fatto di tutto con impegno per praticarla – andrebbe cercata una alternativa vicina, da costruire o da ristrutturare. In un caso o nell’altro la collocazione del Tribunale nella parte Tiberina del territorio comunale va legata alla previsione di una certa quantità di servizi (bar, tavole calde, copisterie, uffici, posteggi ecc) la cui creazione capita (come si dice) a fagiolo in un’area che ha un elevato tasso di disoccupazione e assoluto bisogno di attività economiche per i suoi abitanti.

3. Scuole. Che le scuole del nostro paese siano inadeguate è pacifico. Che vadano costruite le nuove scuole evidente. Ma che esse vengano fatte in aperta campagna è un altro grave errore, talmente grave che non ci credevo. C’è il Piano regolatore, mi dicevo, che non prevede (come potrebbe?) le scuole elementari così lontane da ogni abitazione. Invece è vero, la Amministrazione ha addirittura dato incarico di progettare le nuove scuole in un’area di campagna sulla via Montefiore, a vari chilometri sia da Castelnuovo che da Ponte Storto. Lo può fare? Io penso di no, una scelta di tal genere non può essere fatta di autorità, senza un minimo di dibattito, in barba al Piano Regolatore, ipotecando la vita di generazioni di alunni e delle loro famiglie. Le scuole per gli alunni più piccoli vanno fatte per legge e per buonsenso nei pressi delle abitazioni, i campus stanno in America e sono fatti per un’altra realtà e per ragazzi più grandi.

4. Area ex campo sportivo. Castelnuovo si trova ad avere libera una vasta “area centrale”, quella dell’ex campo sportivo. La scelta di spostare il campo sportivo è stata a mio parere corretta, semprechè si sia trattato di “spostare” e non di “abolire”. Al di là di questo, oggi questa area centrale è preziosa perché sta in una posizione baricentrica rispetto alle abitazioni, e può davvero rappresentare, se bene utilizzata, quel “qualcosa in più” che farebbe fare a Castelnuovo un salto di qualità. Bisogna decidere come utilizzare questa area, se per servizi pubblici, privati, scuole o quant’altro. Bisogna dibattere, confrontarsi, capire, insomma lavorarci sopra per il bene del paese.
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Le mappe della nuova ferrovia

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Le mappe del progetto definitivo del 2009 della ferrovia Roma-Nord da Riano a Morlupo

Due particolari della nuova viabilità’ prevista (2009)

        

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La piazza delle moto

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Il viandante che la domenica mattina vedesse gruppi di moto correre sulla Flaminia verso Terni, non saprebbe certamente dire dove vanno. Ma se riuscisse (per caso) a dialogare con un motociclista (al di la’ dal casco integrale), verrebbe a sapere che per le gite della domenica mattina c’é una meta precisa, una sorta di “Stazione di posta”: si chiama “I Sassacci” e sta a Civitacastellana.

Il viandante che poi – dopo il dialogo col motociclista – riuscisse a farsi dare un passaggio e quindi arrivasse a “I Sassacci” di domenica mattina, si troverebbe davanti decine, e a volte centinaia di moto di ogni colore e forma: uno spettacolo che senz’altro gli metterebbe allegria anche se del tutto digiuno di motori.

A “I Sassacci” c’é un grande piazzale, un bar e un distributore e nient’altro. Li’ finisce la Flaminia laziale, dolce e ondulata, poco oltre c’é la zona industriale di Civitacastellana, nota per le ceramiche, e piu’ avanti la Flaminia si inoltra nell’Umbria, piu’ aspra e tortuosa. Il raduno é quindi sorto spontaneo: finisce un territorio e ne inizia un altro, a i “I Sassacci” si puo’ andare e tornare in mezza giornata, se invece si prosegue la gita diventa di un giorno.

Sul piazzale le moto stanno in fila, come in esposizione. Di tanto in tanto gruppetti di motociclisti si avvicinano all’una o all’altra discutendo di gomme o freni a disco appena montati. Tuttavia il passeggero viandante capitato per caso che dovesse sentirsi escluso sbaglierebbe: il clima non é per iniziati, ma piuttosto quello disimpegnato delle domeniche mattina in ogni luogo dove c’é una piazza. A “I Sassacci” non c’é la Chiesa, ma la gente si incontra in un sagrato di motori, e c’é cordialita’ per tutti.

Qualcuno arriva, qualcuno riparte per ritornare di li’ a poco, qualcun altro prende il caffè o l’aperitivo. Si puo’ addirittura pulire la visiera del casco col Vetril e il panno offerti gentilmente dal gestore del bar,  ben felice di tuta la variopinta clientela. Si discute di moto e di strade, ovviamente, ma nche di altro, lasciando felicemente da parte le differenze e le diffidenze dei giorni feriali. Poi a fine mattinatal’adunanza si scioglie: tra mezzogiorno e l’una, da sole o a gruppetti di due o tre, le moto riprendono la Flaminia e la frazione “Sassacci” il suo aspetto abituale.

Il viandante che in precedenza fosse riuscito a farsi dare un passaggio, sempre che all’andata non si sia troppo agitato sul sellino guastando le curve al suo motociclista, dovrebbe riuscire a farsi portare indietro senza sforzo. Anche se con quella gente che va in giro moto non c’é mai niente di sicuro…

(Articolo scritto per “Il Nuovo” di maggio 2013)

immagine dei “I Sassacci” dal web

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