Articolo pubblicato dal “Corriere del Tevere” di settembre 2005

Recentemente la Provincia di Roma ha promosso un Programma di sviluppo per l’area Sabina – Valle del Tevere, presentato a Fiano il 19 maggio scorso dall’Assessore della Provincia Bruno Manzi, con l’intervento degli Amministratori locali. Il “Corriere del Tevere” ne ha riferito sul numero scorso.Si tratta, dopo il “Progetto Va.Te.” (Valle del Tevere) che risale a molti anni fa, del primo programma organico per la nostra area, che riguarda principalmente lo sviluppo produttivo e le infrastrutture necessarie.

Se sulla cartina geografica dividiamo Roma e le aree circostanti in quattro fette uguali, ci accorgiamo che la nostra fetta, il quadrante Nord, è quella meno urbanizzata, più residenziale e meno industriale, meno dotata di servizi e infrastrutture per esempio stradali. Da qui la positiva necessità di cominciare a ragionare sullo sviluppo futuro e sulle prospettive.

Ma: “Niente succede a caso” dice il saggio, e se siamo rimasti indietro (per così dire, ma vedremo che non è così) una ragione ci sarà! Infatti non una ma molte ragioni si potrebbero elencare, dalla orografia impervia di parte del territorio, che rende le strade tortuosi saliscendi, a ragioni storiche, politiche, fino alla asprezza caratteriale degli indigeni, al loro attaccamento alla terra e alla conseguente difficoltà dei foresti (imprese o turisti che fossero) a trovare in passato una collocazione.Tuttavia il mondo si è evoluto, è diventato vario e variegato, e non è detto che tutti debbano fare le stesse cose. I ritardi possono diventare vantaggi, purché se ne abbia consapevolezza e si sappia guardare al futuro.Questo per dire che lo sviluppo produttivo non ha più l’unico sbocco nelle aree industriali che da decenni ogni comunità locale realizza, ma può esprimersi anche nelle attività legate al tempo libero, allo sport e alla cultura, e nella agricoltura, nell’allevamento, nella produzione di energia pulita, cioè in tutte quelle faccende vietate a chi ha già occupato il territorio con le aree industriali.

Il Programma della Provincia correttamente non trascura questi argomenti e, trattandosi di un quadro di insieme, per di più di ampia portata territoriale, comprende un po’ tutto. Sarà poi compito delle comunità locali compiere le scelte definitive, secondo la vocazione e la storia del loro territorio. Che eventualmente potrà avere anche più di una vocazione. A patto che le diverse attività siano spazialmente ben distinte e non si danneggino a vicenda. O meglio purché gli insediamenti pesanti non danneggino quelli leggeri, perché così andrebbe a finire in caso di eccessiva vicinanza, in quanto non si è mai vista una mucca cacciare via un capannone, ma invece un capannone sfrattare una mucca, sì.

La sufficienza e – sotto sotto – la sfiducia con le quali vengono trattate tutte le alternative di sviluppo diverse da quello industriale propriamente detto, sono strettamente legate all’inconscio della storia italiana dal dopoguerra ad oggi, quando la produzione di beni utili e concreti (dalla automobile al parmigiano), localizzata piuttosto casualmente e senza grandi infrastrutture, ci ha permesso di crescere e progredire. Le infrastrutture vennero poi, con i guadagni e con i sacrifici. Oggi, invece, le infrastrutture, massimamente strade e ferrovie esistenti, possono e debbono essere pensate come matrici dello sviluppo possibile, che sarà, come già detto, espressione della storia e della cultura della gente della zona.

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La ferrovia Roma-Viterbo è il perfetto esempio di questo concetto. Si tratta di una infrastruttura esistente, nell’attuale tracciato, dal 1932. Il trenino porta da Roma a Civitacastellana e poi a Viterbo, partendo da Piazza del Popolo e costeggiando la Via Flaminia. La linea ha caratteristiche uniche: parte dal centro barocco di Roma, corre lungo la antica consolare con un bellissimo andamento rialzato e panoramico, costeggia tutto il Parco di Veio e serve così alcuni dei più originali paesi medioevali vicinissimi alla Capitale. In particolare tre paesi, Riano, Castelnuovo di Porto e Morlupo sono oggi in pratica un unico insediamento, pur avendo conservato perfettamente leggibili le originalità di impianto dei loro Centri Storici. Purtroppo il treno è più o meno quello di cinquant’anni fa, nella qualità del viaggio, nella velocità e negli orari. Sferraglia a 40 all’ora come se andasse a spasso, e passa solo di mattina presto per andare a Roma, e a fine giornata per rientrare; segue insomma il flusso dei pendolari, ma non quelli di oggi, quelli di una volta, con il risultato che chi deve andare a Roma, anche solo a ponte Milvio a lavorare, prende la macchina e non ci pensa più.

Per la Roma-Nord, come è chiamata la ferrovia, il tempo si è fermato da alcuni decenni, non c’è stato il flusso migratorio residenziale da Roma verso l’hinterland, non c’è stato il Parco di Veio, e i paesani sono ancora quelli, più o meno, che hanno come borsa il fazzolettone annodato ai quattro capi.Sappiamo tutti, invece, che decine di migliaia di persone vanno tutti i giorni a Roma per lavoro o per studio, e quanto sarebbe importante, quanto migliorerebbe la nostra vita, la nostra economia, il valore delle nostre case, un servizio di ferrovia metropolitana minimamente efficiente. Non dico un treno iperveloce su cuscino d’aria, per carità, ma un servizio continuo, per tutta la giornata e fino a sera, che in 20 minuti copra i 30 chilometri tra Morlupo e Roma. La media sarebbe di 90 km all’ora. Quella attuale è di circa 40.

Impossibile? Non credo proprio. La moderna tecnica ferroviaria in pochi mesi potrebbe fare tutto. Senza necessità di raddoppiare la linea, ma semplicemente automatizzando le stazioni di scambio lungo il percorso. E’ solo una questione di volontà politica, di decisione degli Amministratori di operare in una certa direzione piuttosto che in un’altra.

Certo che se si continua a pensare di produrre ricchezza solo con le aree industriali e i capannoni, Riano e Castelnuovo concentreranno i loro sforzi sulla zona Tiberina, e Morlupo sarà tagliato fuori. Il Parco di Veio continuerà ad essere considerato penalizzante per il progresso, e chi più ne ha più ne metta. Ma invece il ritardo della zona Flaminia (rispetto al modello industriale) e quindi il suo territorio intatto, la presenza di attività agricole, la grande espansione residenziale avvenuta, e il suo trenino centenario potrebbero, con opportuni accorgimenti, assecondando la cultura e le tradizioni locali, essere davvero l’incipit di un passaggio epocale.

Con la ristrutturazione della linea ferroviaria, si aprirebbero infatti diversi scenari. Per esempio: Riano, Castelnuovo e Morlupo diventerebbero le porte di ingresso al Parco di Veio. Una progettazione coordinata tra Ferrovia e Parco darebbe valore economico a quest’area protetta di recente istituzione, e ancora alla ricerca di una precisa identità. Coltivazioni biologiche e innovative potrebbero trovare nella ferrovia un importante supporto, senza contare le attività di svago, sport e tempo libero che il Parco potrebbe accogliere con semplici infrastrutture, giovandosi dei tre milioni di potenziali clienti romani. In pratica le famiglie da P.le Flaminio potrebbero salire sul treno con le biciclette, scendere dopo 20 minuti, trovare nel piazzale delle stazioni le strade di accesso a Veio, trascorrere una giornata nel Parco opportunamente attrezzato, riprendere il treno e tornare a Roma a fine giornata. Oppure fermarsi più giorni negli agriturismi che sorgerebbero. Di converso chi abita nei paesi potrebbe andare a lavorare o a studiare in bicicletta, arrivando nel centro di Roma con lo stesso servizio.Si avvierebbe una integrazione culturale con Roma, perché il treno nelle ore serali permetterebbe la fruizione dei servizi culturali e di svago della Capitale ai cittadini dei paesi, ma anche e soprattutto il treno sarebbe ragione di decentramento di spettacoli e iniziative che, attuate nella cintura urbana, verrebbero fruite da chi abita nella capitale. Occasioni ce ne sarebbero. Basta qui dire che Castelnuovo di Porto e gli altri paesi si connotano come i luoghi del teatro e delle Compagnie teatrali, con il famoso premio annuale di drammaturgia E.M.Salerno, e le numerose rappresentazioni teatrali di alto livello presenti ogni anno nel loro territorio.Gli studenti in età liceale avrebbero la possibilità di frequentare gli istituti che in zona non esistono: valga per tutti l’esempio del liceo artistico, con quello di via di Ripetta che è facilmente raggiungibile dalla stazione di P.le Flaminio.

E non è che l’inizio – come si dice – di una lista di vantaggi e cambiamenti positivi che in breve partirebbero a cascata innescandosi a vicenda.

Ecco quindi che partendo da una infrastruttura esistente e da un obbligo sociale – la mobilità all’interno dell’area metropolitana – e assecondando la cultura locale legata alla campagna, si può arrivare a uno sviluppo economico complessivo che capovolge i ritardi e gli svantaggi di cui si parlava all’inizio e li trasforma in opportunità.

Sarà possibile? Io penso di sì. Anche solo per un’unica considerazione: tra chi è nato nei paesi e chi ci è venuto ad abitare, su queste cose c’è identità di vedute. Gli uni sono legati alla terra dei loro avi, gli altri hanno scelto questi luoghi per come sono, e non per come qualche amministratore vorrebbe trasformarli.

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