Data di pubblicazione su Eddyburg.it: 31.03.2007

Autore: Alessandra Rubenni

Il consumo di suolo non solo come problema di governo del territorio, ma come problema sociale. Da l’Unità, ed. Roma, 30 marzo 2007 (m.p.g.)

«Vendesi villini in costruzione. Consegna entro 24 mesi». Superati i palazzoni di Prima Porta, via di Valle Muricana s’infila nel verde disseminato da una sequela sgangherata di casette. L’area protetta comincia poco più in là. E un cartello che segnali il parco non si vede. «Qualche volta li prendono e li usano come teglie per la pizza», raccontano da queste parti, e non scherzano. In compenso, fitti fitti, s’incontrano subito i cartelli delle agenzie immobiliari, piazzati di fianco a un cantiere e a una villetta spatolata di rosa, quasi finita.
Benvenuti nel Parco di Veio, fra quelli del Lazio il più massacrato dall’abusivismo. «Impieghiamo l’esercito per demolire gli abusi: non tutti, sarebbe uno spreco, perché molti possono essere riassegnate a chi non ha casa, ma almeno 10 l’anno», rilancia la sua proposta il direttore dell’ente parco, Roberto Sinibaldi.
Eppure anche così com’è, lacerato dall’abusivismo, il Parco di Veio – con dentro la sua pancia pezzi di archeologia, boschi e persino sorgenti, laddove non arriva la strada asfaltata – sembra destinato ad apparire, prestissimo, come un’isola felice, circondata dal cemento che all’improvviso gli sta esplodendo tutt’intorno. “Conurbazione”, si chiama. E cosa vuol dire si capisce benissimo percorrendo la via Flaminia, che costeggia un lato del parco: il cemento si sta allungando da Roma fino a saldare il tessuto urbano con quello dei paesi più a nord, Riano, Castelnuovo di Porto, Morlupo. Un paesaggio paradosso: lì è parco, di là no. Quindi anche a pochi metri di distanza dall’area protetta si può costruire. Distese di ulivi e di campi si cancellano. A partire da Colle delle Rose, località dal nome ameno appena dopo Prima Porta, che è tutto un cantiere di casette basse, dove lavora un esercito di operai rumeni, seduti davanti a ogni portoncino all’ora di pranzo. A seguire c’è Riano, dove invece ci si va giù pesante: le gru al lavoro saranno almeno una decina e il cemento si stratifica con una densità impressionante. Grossi edifici l’uno dietro l’altro, in una sfilza di ponteggi e fondamenta a coprire i fianchi dei pendii.

Che sia chiaro, qui è tutto legale. «Il problema è che i piani regolatori di questi comuni – spiega Roberto Sinibaldi – sono basati sul principio di trasformare tutti i terreni agricoli in zone residenziali. Le cubature progettate non sono certo commisurate alla crescita demografica prevista in quei paesi. Almeno nove decimi saranno destinate a chi viene da Roma, dove il mercato immobiliare sta espellendo i residenti». Del resto non ci sono leggi a tutelare questi territori: se non c’è un vincolo, sono ottimi per fare affari. E intorno al Parco di Veio c’è solo una zona “cuscinetto”, le Valli del Sorbo, vicino Formello, classificata come Sito d’importanza comunitaria. Così, spazio ai progetti edilizi che lasciano sgomenti gli ambientalisti. Come è avvenuto anche sull’altro versante del Parco, dalla parte di Campagnano. Nella Valle del Baccano, in cima a un crinale che 600mila anni fa era l’orlo di un cratere, sono spuntate una decina di palazzine “ornate” da abbaini, tutte con regolari licenze. «Visto dalla Cassia bis sembra un ecomostro – ammette un operaio – però quando cresceranno le piante non si vedrà nemmeno. Ma lei lo sa perché è bassissima la natalità in questi paesi? Perché non ci sono case per i giovani». Per questo bisogna costruire quelle che diventeranno anche seconde e terze case. E poi basta seguire le indicazioni degli enti competenti, i quali non riescono a entrare neanche nel merito della qualità architettonica, ma prescrivono esterni intonacati – niente cortina, almeno – e colori della terra, che nella pratica diventano giallognoli e rosa, pericolosamente vicini alle tonalità confetto molto amate dai veri abusivi di Veio. «che si ispirano alla casa dei sogni, modello Beautiful», commenta Sinibaldi. Forse è per questo che qua e là appaiono comignoli coperti a mo’ di vezzo da tegole arricciate, finestre a oblò, archi a non finire. Ma il tutto si riassume in un modello ambientale e sociale disastroso. Con un mare di gente scappata da Roma, venuta a vivere qui come fosse periferia e costretta ogni giorno a mettersi in fila in macchina, due ore all’andata, due al ritorno, per andare al lavoro. A Roma.

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