Che Renata Polverini si appresti a vincere le elezioni regionali del Lazio non c’é alcun dubbio. Questo é chiaro a chiunque osservi gli equilibri politici regionali, successivamente al caso Marrazzo, alla luce dell’andamento politico nazionale e alla lenta e inesorabile eclissi della sinistra italiana. A chi, all’interno dei Partiti, dispone di sondaggi, elaborazioni, statistiche resta solo il dubbio di sapere con quale percentuale vincerà la Polverini e il PdL, e quanti voti e quanti seggi andranno alla minoranza.

In questo quadro chi si candida per il centro sinistra nel Lazio? Esiste un personaggio politico di rilievo che abbia voglia di andare a perdere una ennesima votazione? Certamente no.

Se a sinistra qualche anno fa si fosse iniziato il processo di cambiamento e di ricambio politico che avviene in tutti i partiti in tutte le parti del mondo dopo le sconfitte elettorali, oggi (forse) si avrebbe qualcosa da dire e da proporre, una qualche “nuova” visione politica e amministrativa, ci sarebbe una “nuova” classe dirigente. Ma così non é stato; il grido di Nanni Moretti a Piazza SS Apostoli nel 2002: “Con questi dirigenti non vinceremo mai” é stato purtroppo profetico della ferrea volontà di autoconservazione della classe politica che dirige la sinistra italiana.

Segnali e tentativi di cambiamento in questi anni ci sono stati e neppure di poco conto, a cominciare dalla stagione che vide Sergio Cofferati riunire in piazza milioni di persone sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e poi il governo Prodi, per continuare con la nascita grandemente partecipata del Partito Democratico e con l’emersione di personalità di spicco come Massimo Cacciari, Renato Soru o recentemente di Debora Serracchiani. Ma più forte di tutto questo é evidentemente stata la determinazione a rimanere in sella da parte di chi non voleva farsi da parte, di chi da anni e lustri e decenni fa il “politico” e non si rassegna a che le stagioni cambino.

E allora ecco che – per ritornare al Lazio – davanti alla annunciata vittoria alla Regione del centro – destra e di Renata Polverini, la estemporanea autocandidatura della radicale Emma Bonino può rappresentare l’opzione migliore per certa sinistra per evitare la sconfitta diretta, salvare “capra e cavoli” e in qualche modo restare a galla. Perché si perde, no?  Ma perderà la Bonino, non direttamente la sinistra. E poi, ai Radicali la capolista, agli altri i posti in lista: si va all’opposizione, ma si mantiene il ruolo, una certa visibilità, un ottimo stipendio e insomma si resta a galla in qualche modo.

La (ormai certa) candidatura di Emma Bonino alla Regione Lazio come rappresentante della sinistra é metaforicamente l’ “Arca di Noé” che servirà  alla sopravvivenza di molti politici di lungo corso, desiderosi di galleggiare in minoranza alla Regione Lazio per cinque anni, in attesa che passi l’alluvione berlusconiana, con la speranza di tornare protagonisti alle successive elezioni nel 2015 in un quadro politico mutato.

Tutto il resto può, nella contingenza, passare in secondo piano, dalla formazione delle nuove classi dirigenti (persa per persa la Regione era il caso di candidare una squadra di giovani che almeno avesse una prospettiva futura), ai principi enunciati (nel PD si faranno le “primarie” s’era detto…) e a quelli praticati (Emma Bonino e i Radicali nel 2002 furono contro Cofferati e la sinistra, e si schierarono per l’abolizione dell’art. 18).

In questo quadro, se si vuole sperare qualcosa bisogna forse affidarsi al ribaltamento totale: che a una sinistra diventata conservatrice e incapace di rinnovarsi, risponda una destra, o meglio un centro-destra, che abbia elementi di innovazione e di apertura. E l’embrione della intesa tra Fini, Casini e Rutelli in Parlamento potrebbe trovare alla Regione Lazio, in questo senso, un primissimo laboratorio politico.

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