veio_ilnuovoIntroduzione

La via Campagnanese é una delle piu’ belle strade d’Europa: sta sulle riviste fotografiche e nelle guide degli itinerari turistici. Percorrendola e guardandosi intorno si puo’ avere la percezione della morfologia ancora incontaminata della campagna di Roma Nord, come doveva essere duemila anni fa, quando c’erano gli Etruschi e la loro capitale Veio.

La Campagnanese – che unisce la Cassia e la Flaminia da Morlupo a Campagnano – é in pratica il confine nord del Parco di Veio, che comprende l’area tra le due consolari fino a Roma a Corso Francia, formando un grande triangolo, una fetta di territorio di 15.000 ettari.

La nascita del Parco e la promessa del Piano di assetto

La grande idea fu quella di tutelare questo territorio “svantaggiato” (perché fatto di alture e dirupi, e quindi di non facile accesso) e di farne un cuneo verde che arrivasse fin dentro Roma, ricchissimo di cultura e di storia, compresi i reperti e le rovine dell’antica citta’ di Veio.

Non si trattava di una operazione facile: il territorio era tutto privato (salvo poche zone), e non si poteva certo farne un “quadro da appendere al muro”, un monumento da guardare e non toccare. Bisognava trovargli una funzione che lo facesse vivere e prosperare, e prevedere quali fossero le trasformazioni compatibili con la tutela dell’ambiente, della cultura e della storia.

Alla fine del 1997 si traccio’ il perimetro del Parco, la Regione fece una legge apposita, e venne previsto che entro 9 mesi – segnatevi questo termine – sarebbe stato varato il Piano di Assetto, contenente le linee di sviluppo e di tutela. Nel frattempo fu “congelato” ogni cambiamento urbanistico: nel Parco i Piani Regolatori dei Comuni non valevano piu’, e l’area diventava di competenza dell’Ente Parco, autonomo e dotato di un Presidente e di un Consiglio, non eletti ma nominati fiduciariamente dal Governatore del Lazio.

Alcuni Comuni, come per esempio Formello o Sacrofano, si trovarono ad avere il 70 o l’80 per cento della loro superficie nel Parco, Castelnuovo il 30%, e a seguire tutti gli altri, compresa Roma per circa la meta’ del XX Municipio. Logicamente una tale situazione fu accettata di malavoglia dai Comuni, tuttavia 9 mesi passano in fretta, e la prospettiva che il Parco diventasse un “aiuto” alle debolissime economie locali fece in qualche modo digerire la novita’.

Tre lustri di gestione provvisoria senza Piano

Ma invece la questione si ingarbuglio’ fin da subito, poi via via si ingarbuglio’ sempre di piu’ col passare degli anni, e in definitiva, per dirla qui in un lampo, ad oggi 2013 non c’é ancora il Piano di Assetto del Parco. La dilatazione di quei 9 mesi in 15 anni di “regole provvisorie” sicuramente mina le basi dell’esistenza stessa dell’area protetta, con la conseguenza che l’iniziale diffidenza verso il Parco si é tramutata in rabbia e insofferenza: tanto che a volte viene disperatamente da pensare se non sia meglio abolirlo l’Ente Parco, e che non se ne parli piu’.

Il che – detto laicamente – potrebbe anche essere una soluzione: una struttura regionale in grado di gestire l’area protetta c’é gia’ (si chiama ARP), ed i Comuni potrebbero benissimo governare il resto in forma di Comunita’. Certo sarebbe la sconfitta di una certa “visione” delle aree protette, ma perlomeno con l’Ente sparirebbe anche la selva di pennacchi, poltrone, poltroncine, sgabelli, che ora dettano lo spartito. E che – come per magia – ogni volta che ci sono le elezioni (é accaduto nel 2010 e accade ora) tirano fuori un Piano di Assetto, annunciano che é pronto, imminente, gia’ approvato dai Sindaci. Salvo che poi, passate le elezioni, non se ne parla piu’ e passano altri anni.

I Piani non partecipati, ovvero: l’Ente Parco e il resto del mondo 

In questi giorni c’é un’altra replica: a Natale il Parco ha annunciato il Piano, ed é partito l’iter che prevede la partecipazione di cittadini, enti e istituzioni. Ma ancora una volta l’Ente Parco ha sbagliato tempi e procedura: sembra incredibile (anche perché gli é stato scritto e detto in tutti i modi), ma purtroppo é cosi’.

Il punto carente é il coinvolgimento dei soggetti esterni all’Ente nel disegno del territorio, che é non soltanto obbligatorio, ma che deve essere effettivo. In sostanza il Parco deve fare una bozza di Piano, in collaborazione con gli Enti di tutela (Ministeri, Soprintendenze, Regione ecc.), chiedere il parere dei Sindaci, e poi deve raccogliere le osservazioni dei cittadini. Successivamente il Piano va inviato alla Regione per l’approvazione definitiva.

É piuttosto logico che si tratta di passi successivi, che non possono avvenire in contemporanea, altrimenti si rispetta (forse) la forma, ma nella sostanza non si permette l’effettiva partecipazione alla stesura del Piano.

Gia’ nel 2010 si pasticcio’ su queste stesse cose: il Piano fu adottato in tutta fretta perché c’erano le elezioni regionali, ma solo dopo alcuni mesi giunsero i pareri obbligatori degli Enti di tutela. Pareri, tra l’altro, che richiedevano una profonda revisione del progetto. Quindi non se ne fece niente, l’adozione fu annullata e si ricomincio’ daccapo.

Ora, nel 2013, non solo il Piano non é stato modificato secondo quei pareri (quando ce ne sarebbe stato tutto il tempo), ma viene contemporaneamente pubblicato sia per la verifica della sua struttura ambientale (tecnicamente: procedura VAS), sia per le osservazioni sulle zone e sui singoli lotti. Mentre una cosa va fatta prima e un’altra dopo, altrimenti non serve:  in un edificio (o in un Piano) prima viene la struttura, e solo dopo si puo’ passare alle rifiniture.

Ma purtroppo c’é di piu’: il parere contrario dei Sindaci, che avevano gia’ dato un motivato parere negativo al Piano del 2010, e che se lo sono visto ripresentare uguale nel 2013; e poi l’obbligo di moduli da riempire, carte tecniche da allegare e tassa di 50 euro da pagare per ogni cittadino che volesse presentare una osservazione al Piano! In barba alla facilitazione della partecipazione di tutti, senza formalita’ e senza tasse.

Necessaria una profonda revisione del sistema di gestione delle aree protette

É piuttosto evidente – in conclusione – che tra le stanze dell’Ente Parco da un lato e il territorio e i suoi abitanti dall’altro c’é un deficit di comunicazione e collaborazione. E che forse a rendere rugginoso l’ingranaggio c’é anche dell’altro: un certo modo di intendere la politica, l’assegnazione di poltrone, il ruolo di alcuni funzionari pubblici.

Quello che é indubitabile é che andando avanti cosi’ il Parco sta via via soffocando, perdendo ogni funzione positiva, e diventando un peso anziché una risorsa e una bella opportunita’ per i suoi territori.

La nuova Giunta Regionale – e anche il nuovo Governo, perché il problema é nazionale – dovra’ per forza di cose mettere mano al sistema di gestione dei Parchi, da un lato avvicinandoli ai territori e ai cittadini, e dall’altro alzando il livello di competenza e professionalita’ dei suoi gestori. La speranza é che lo faccia in fretta.

(Pubblicato su “Il Nuovo” di Febbraio 2013)

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